C'è tempo sino al 31 dicembre per poter confermare l'eventuale stato di disoccupazione presso il centro per l'impiego e non perdere così l'anzianità maturata, ovvero non scendere gradini nelle liste d'attesa. La decisione di prorogare i termini è scaturita, checché se ne dica, dall'esigua percentuale di iscritti che al 30 di settembre si era presentata agli sportelli.
Forse, nonostante lo slittamento dei termini sia certamente risultato opportuno, sarebbe stato più utile chiedersi perché così pochi disoccupati si fossero preoccupati, in un momento di profonda crisi economica, di rinnovare la loro posizione occupazionale presso gli ex uffici di collocamento.
Forse perché collocano appena il 3% dei senza lavoro? Forse perché una volta trascorsi gli otto mesi in cui è possibile percepire l'indennità di disoccupazione non rimane che il diritto ad un insufficiente sconto su bollette e prestazioni sanitarie? Forse perché dopo mesi e mesi di inutili colloqui e vani invii di curricula la gente realizza finalmente che la principale attività dei centri per l'impiego non è che quella di stampare i certificati di disoccupazione ed inizia a sentirsi presa per il culo?
I centri per l'impiego sono diventati dei carrozzoni costosi e inamovibili: le agenzie locali - sostenute ovviamente con soldi pubblici - sembrano servire più ad ingrossare le fila dei dipendenti (comunque anch'essi precari nella stragrande maggioranza dei casi) che non a trovare nuove aziende disposte ad assumere, e i risultati scadenti ne sono la dimostrazione.
In Italia oltre 2 milioni di persone all'anno si rivolgono a un centro per l’impiego chiedendo un lavoro, e altre 600 mila bussano soltanto per un supporto in servizi personali e amministrativi, fatte le opportune divisioni otteniamo come risultato 3.500 utenti per ufficio, ovvero meno di uno al giorno per ogni operatore.
In sintesi circa 500 milioni di euro (costo annuo dei centri per l'impiego) producono come risultato l'occupazione di 35.000 persone, ciò significa che ogni posto di lavoro trovato costa allo stato, ovvero all'intera comunità, oltre 13 mila euro. Soldi che è superfluo dire, potrebbero essere impiegati infinitamente meglio.
Allora, anziché prorogare i termini per la certificazione dello stato occupazionale non sarebbe forse più consono iniziare a rivalutare l'effettiva esigenza di mantenere vivi degli uffici la cui utilità è ormai equiparabile a quella di un frigorifero al Polo Nord e dividere in due macro aree i servizi resi al cittadino?
Come le agenzie private i centri per l'impiego potrebbero avere un reparto economicamente autonomo, che guadagni dall'intermediazione stessa del lavoro, trovandosi così costretti a dover essere necessariamente “performanti”, ed un reparto, ancora sostenuto dallo stato, in grado di focalizzarsi al meglio sulla formazione e sulla crescita professionale di quel 50% di giovani che oggi, terminati gli studi, si ritrova a combattere ogni giorno con una crisi che non dà segni di tregua e senza alcuna prospettiva di impiego.